di Mimmo Sersante
Personaggi: il Diabetologo (rappresentante della scienza e della razionalità) e il Diabetico che vive la malattia e riflette sulla condizione umana.
Diabetologo: Oh caro amico, ancora mediti sul tuo stato di salute? Ti vedo assorto, come chi è sospeso tra due verità. Dimmi: pensi che il tuo corpo sia malato o piuttosto un corpo con malattia?
Diabetico: Dottore, questo dilemma mi assilla da tempo. Se il mio corpo è malato, allora è una macchina guasta, da riparare. Se invece porta con sé la malattia, è come un compagno di viaggio, gravato, sì, ma non del tutto perduto. E tu, che visione hai?
Diabetologo: Amico mio, la scienza alla quale ho dedicato la vita mi insegna che il corpo è una macchina perfetta. Ogni organo ha un compito preciso, come un ingranaggio in un orologio. È così che l’ho sempre inteso: un complesso meccanismo, fragile ma potente.
Diabetico: Non dirmi che credi al sogno cartesiano di un dio costruttore di macchine idrauliche.
Diabetologo: Credo alla scienza e la scienza non ha bisogno di ipotizzare un dio che si diverte a vestire i panni dell’ingegnere idraulico, ma non fraintendermi. Il corpo è vivo, certo, ma per comprenderlo, dobbiamo talvolta ridurlo a un insieme di parti. Così fanno i chirurghi e gli anatomisti. Rembrandt raffigurò il dottor Tulp mentre sezionava un corpo, rivelando i segreti della vita. È un atto necessario per capire.
Diabetico: Sì, forse necessario, ma il corpo sezionato è ben diverso dal corpo vivente. È come leggere un libro e poi strapparne le pagine: il senso si perde. Forse dovremmo, piuttosto, ascoltarlo. Non è questo che ci insegna il vecchio Ippocrate? Se non vado errato era lui che parlava di un corpo che “sta male” e non di una macchina guasta.
Diabetologo: È passato del tempo da allora e noi dobbiamo adattarci. La scienza moderna ha bisogno di precisione, di analisi.
Diabetico: Eppure, in questa precisione, qualcosa sfugge. Il corpo non è solo ingranaggi, ma anche emozione, desiderio, volontà. Spinoza lo sapeva: il corpo non è un semplice recipiente, ma una potenza che agisce, che vive, una forza in continua evoluzione. Non una macchina da riparare, ma una realtà viva, capace di desiderare, di incontrare l’altro.
Diabetologo: Nella mia arte parliamo di omeostasi, di equilibrio. Quando questo equilibrio si rompe, nasce la malattia.
Diabetico: Omeostasi… come un funambolo che cammina su una fune sottile. E il diabetico, più di ogni altro, conosce il rischio di cadere. La glicemia è il suo vento: ora spira lieve, ora lo spinge con violenza. E quando vacillo, la mia mente lo sente. Sì, il mio corpo e la mia mente sono legati e nulla accade nel mio corpo che la mia mente non percepisca.
Diabetologo: Ma dimmi: come vivi questa consapevolezza?
Diabetico: La vivo come una lotta continua. Il mio corpo è come una nave in tempesta, e io sono il timoniere. Devo sentire ogni movimento, ogni cambiamento. Quando la glicemia è bassa, mi sento debole, irritabile. Quando è alta, sono inquieto, disperso. È un equilibrio difficile da mantenere.
Diabetologo: Comprendo. La medicina però può aiutarti a stabilizzare questo equilibrio, a mantenere la nave sulla rotta.
Diabetico: Ma c’è qualcosa che solo io posso fare: ascoltare il mio corpo, conoscerlo. È un sapere che nessun medico può darmi. Ma non mi basta. Ho bisogno di incontri, di relazioni. È negli incontri che trovo la forza di andare avanti. Non siamo soli, dottore. Siamo esseri sociali, e la malattia non cambia questa realtà.
Diabetologo: Hai ragione. Gli incontri sono essenziali. Sono essi a dare senso alla nostra esistenza. Tu come vivi questi incontri?
Diabetico: Li vivo con gratitudine, ma anche con fatica. Ogni incontro è una sfida, un rischio. Posso uscirne rafforzato o indebolito. Ma non posso evitarli. È la vita stessa a costringerci a incontrare l’altro. Per esperienza posso dirti solo che il diabetico ha una sua sensibilità per valutare i suoi incontri. Con un tasso glicemico basso, ad esempio, difficilmente, come si dice, c’azzecca. Esaspera il proprio io e dileggia quello dell’altro, è altezzoso e un tantino violento mentre con un tasso glicemico alto si muove spaesato, incapace di soffermarsi su alcunché. Non che gli altri siano al sicuro dalle emozioni perché tutti si resta consegnati al sentimento della propria situazione ma il diabetico ha sul tema una consapevolezza che gli altri non hanno.
Diabetologo: Suvvia, non esagerare. Che la vita è fatta di incontri e di relazioni vale per tutti E la malattia, lungi dall’isolarci, ci mette di fronte alla nostra fragilità, ci spinge a cercare l’altro.
Diabetico: O a rinchiuderci in noi stessi, a isolarci. E non ci aiuta certamente il mantra che più e più volte ho dovuto ascoltare: devi riportare più vicino possibile alla norma il metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine, devi attenerti a una dieta equilibrata, devi fare moto, tanto moto. Devi solo volerlo ed è fatta.
Diabetologo: Sinceramente non capisco.
Diabetico: Forse perché condividi l’ordine del discorso morale cui quel ‘devi’ appartiene. C’è una morale dietro quel ‘tu devi’. Ignori la verità del corpo e moralizzi sul corpo: questo sì, questo no. Ti ci rapporti come un dovere: se vuoi evitare le complicanze del tuo diabete – arteriosclerosi, retinopatia, cataratta, ipertensione, nefropatia, etc. etc. – allora… Un «devi» incondizionato.
Diabetologo: Che però non c’è quando il medico chiede il tuo assenso al momento di eseguire un intervento. O no?E non tirarmi fuori la biopolitica, la società disciplinare e quella del controllo.
Diabetico: Certo che no, ma perché, mi domando, tirare fuori il volere e il non volere? Volere qualcosa cosa che si ha? Non è un controsenso?
Diabetologo: Credo di aver capito cosa intendi. Tu dici che possediamo la forza – l’hai chiamata potenza – che ci permette di vivere e di amare la vita per cui la sola domanda legittima che possiamo farci dovrebbe essere una e una sola: cosa sono capace di fare grazie a questa forza, cosa può un corpo affetto da diabete.
Diabetico: Tu dici il vero, e così voglio che facciamo.
FOTO Aida Bressi, Strada Statale 106 Jonica – 2022

