di Andrea Rényi
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Gianni Toti, una figura eclettica e visionaria che riassumeva in sé diversi generi d’arte e tanta politica. Partecipò alla Resistenza romana tra i gappisti, si laureò in legge e ancora giovanissimo intraprese la carriera di giornalista che arricchì con l’attività di poeta, scrittore, traduttore, cineasta, e infine di maestro di poetronica, di videopoesia.
Due donne lo accompagnarono lungo questo fertile tragitto: Marinka Dallos, la prima moglie ungherese, che condivise con Toti quarantatré anni di solido rapporto affettivo e fruttuoso sodalizio, fino alla morte di lei, e Pia Abelli, una cara amica della coppia che gli fu accanto negli ultimi anni di vita.
Gianni Toti conobbe Marinka Dallos in Ungheria, al raduno internazionale dei giovani comunisti che si tenne a Budapest nell’estate del 1949, e al quale lui prese parte come inviato de l’Unità. Un anno dopo – Gianni Toti aveva ventisei anni, Marinka Dallos ventuno – erano già sposati e Marinka lo raggiunse a Milano, dove lui lavorava alla redazione de l’Unità.
Marinka Dallos veniva da una famiglia modesta della provincia ungherese, cresciuta dalla madre perché quando era piccola il padre lavorava lontano e nel 1943 fu ucciso da una bomba. Era una giovane cattolica con un basso livello di scolarizzazione, in parte a causa della guerra, in parte per le circostanze poco favorevoli della sua infanzia e prima gioventù, ma dotata di un’intelligenza viva e tanta curiosità. Soprattutto era una persona generosa, pronta a mettersi a disposizione di una causa che poteva ritenere ragionevolmente nobile. La trovò tramite Gianni Toti che la introdusse nel mondo del Partito Comunista Italiano, al quale lei aderì con entusiasmo, frequentando persino la scuola di partito destinata alle donne. La fede non la abbandonò mai e non vacillò nemmeno quando molti compagni di partito cominciarono a mettere in dubbio alcune prese di posizione del PCI. Fra questi anche suo marito, diventato critico in seguito alla repressione sovietica dei moti ungheresi del 1956 che buona parte del partito approvava.
In quegli anni Marinka Dallos lavorava già all’ufficio stampa dell’Accademia d’Ungheria a Roma, dove si distingueva non solo per fedeltà politica (che le era valso l’incarico) ma anche per la quasi sconfinata disponibilità che dimostrava nei confronti degli ungheresi che giungevano a Roma, per lo più intellettuali, e nella cura dei rapporti culturali italo-ungheresi. Divenne un anello di congiunzione fra le due culture, anche grazie alla rapida evoluzione intellettuale, culturale della sua persona dovuta all’attenzione che Gianni Toti riponeva nella sua formazione, e agli ambienti che frequentava, inizialmente tramite il marito, in seguito anche per merito proprio.
Con Gianni Toti iniziò a tradurre opere letterarie ungheresi, principalmente poesie, perché negli anni cinquanta e sessanta in Ungheria c’era la convinzione che la poesia fosse il genere letterario che meglio si prestava alla divulgazione della letteratura magiara. Marinka Dallos parlava e scriveva correttamente in italiano ma la vena poetica di Gianni Toti si rivelava indispensabile per una resa artistica. Insieme tradussero e pubblicarono diversi volumi, anche di narrativa, tra i quali il più significativo, che ebbe una larga risonanza anche internazionale, era la raccolta di poesie di Miklós Radnóti, un magnifico poeta giovane vittima della Shoah, pubblicata nel 1964. Fu recensita persino da Salvatore Quasimodo ed ancora oggi è molto apprezzata.
Fra la fine degli Sessanta e l’inizio degli anni Settanta avvennero importanti cambiamenti nella vita di Marinka Dallos. Dipingeva già dai primi anni Sessanta, dapprima solo per hobby, poi scoprì nella pittura naif un mezzo espressivo proprio, indipendente, e di spettro più ampio della semplice traduzione. Raccolse quasi subito il favore degli intenditori, e la incoraggiava in particolare Cesare Zavattini, amico stretto della coppia. Cominciò a esporre e a vendere, e la pittura la coinvolgeva e la occupava a tempo pieno. Lasciò infatti il lavoro all’Accademia d’Ungheria, divenne una pittrice professionista, e fondò Romanaif, un gruppo di quattro pittrici e un pittore naif, fra i quali Graziella Rotunno, moglie di Giuseppe Rotunno, il direttore della fotografia preferito di Federico Fellini.
Traduceva ancora ma non più con Gianni Toti, a sua volta molto impegnato su vari fronti, ma con Jole Tognelli, e con lei portò a termine alcune traduzioni tanto impegnative quanto scarso era il successo di pubblico e di critica. Rileggendole oggi è pressoché incomprensibile come tanto lavoro eccellente potesse essere stato quasi del tutto ignorato.
La pittura le diede molte soddisfazioni, negli anni ruggenti dell’arte naif era un’artista molto richiesta sia dagli espositori sia dai musei specializzati che sorgevano numerosi. Fra soggetti unici e variazioni sul tema realizzò centinaia di quadri, oggi in buona parte catalogati sul sito di “visioni molteplici”.
Morì di tumore l’11 dicembre 1992, per sei anni ancora l’11 di ogni mese Gianni Toti la ricordava su l’Unità con struggente nostalgia.
Quasi contemporaneamente con la sua morte è scomparso anche il suo mondo: l’Europa dell’Est, come lei l’aveva vissuta, con la caduta del Muro, e l’arte naif perché uscita di moda (anche se oggi ci sono segnali incoraggianti che indicano la rinascita dell’arte naif).
Oggi il suo lascito, insieme a quello di Gianni Toti, è conservato nella medievale Torre Gottifredo di Alatri. Vi è allestita la loro biblioteca e sono esposti numerosi quadri di Marinka Dallos, nonché è a disposizione di studiosi e interessati la ricca documentazione custodita all’Associazione Gottifredo/Biblioteca Totiana. Dobbiamo a Pia Abelli Toti la curatela del lascito di Gianni e Marinka.
Ho avuto l’onore di curare la documentazione ungherese di Marinka Dallos e questi e altri documenti che ho avuto il modo di visionare mi hanno dato l’idea di raccontare la sua storia in italiano in Marinka Dallos, traduttrice e pittrice italo-ungherese, pubblicata due mesi fa da Golem Edizioni.
FOTO Renata Romagnoli, Offenburg 2016

