Morire di Napoli

Morire di Napoli

Tre ragazzi ammazzati a pistolettate, tra Napoli e la costa vesuviana, in due settimane. Una storia infinita che potrebbe continuare ancora: di armi ne circolano molto di più, da quando i prezzi si sono abbassati. Ma a Napoli i ragazzi non muoiono solo per armi ma anche per fuochi artificiali.

di Ugo Maria Tassinari

Tre ragazzi ammazzati a pistolettate, tra Napoli e la costa vesuviana, in due settimane. Da altrettanti ragazzi. E rimbomba subito la grancassa del barnum mediatico. Perché il fatto ravviva un antico pregiudizio e confuta la narrazione sulla metropoli non più gomorroide ma regina del turismo povero. Tra cuoppi fritti e spritz, madonne di stracci e il pulcinella di Pesce (che in una pessima realizzazione degli esecutori diventa il pesce di Pulcinella). Un boom che ha trasformato l’intero centro storico in un enorme borgo albergo di massa, con una drastica riduzione della criminalità predatoria e un significativo spostamento delle fonti di reddito dai servizi criminali a quelli turistici (tra b&b più o meno abusivi, botteghe di fast food e di pessimo alcol, negozi di squallida chincaglieria…). 

Se però si scompone il prodotto nei suoi fattori i conti non tornano. Perché i tre morti in rapida sequenza non sono una serie statistica tragica, come l’onda inesorabile dei femminicidi (uno ogni due-tre giorni) e degli omicidi sul lavoro (due o tre al giorno) ma una coincidenza. Seppur significativa, molto significativa. Perché le armi uccidono così facilmente per una ragione semplice: ne circolano molto di più, da quando i prezzi si sono abbassati, le “indossano” in tanti, soprattutto “ragazzini”. 

I tre morti restano però il tragico esito di storie in cui sui tratti comuni (l’età di ‘carnefici’ e vittime, il ritmo circadiano, lo strumento) prevalgono le differenze: le dinamiche, il movente, il contesto, le soggettività in campo. I fatti sono abbastanza chiari:

  1. notte tra il 23 e il 24 ottobre. Intorno alle 2, c’è una intensa sparatoria tra bande giovanili, lungo vico Carminiello al Mercato, una traversa del Rettifilo. Bossoli e proiettili di cinque pistole sono ritrovati nell’arco di duecento metri, con un morto, Emanuele Tufano (15 anni) e tre feriti (14, 17, 27 anni). La vittima è della Sanità, i due minorenni arrestati del Mercato. Confessano di aver partecipato allo scontro. Difendevano il “territorio” da una “invasione di campo”. A maggio la madre aveva denunciato uno dei soldatini, un quindicenne: voleva salvarlo…
  2. Notte tra l’1 e il 2 novembre. Intorno alla mezzanotte, tra sabato e domenica, nel cuore del weekend che noi chiamiamo ancora dei morti ma che per i protagonisti è diventato di Halloween. Piazza principale di San Sebastiano al Vesuvio, uno dei ritrovi della movida nell’area a sud di Napoli. Un diciassettenne di Barra, con significativi precedenti penali, ammazza un diciannovenne di Casoria, Santo Romano, un campione di calcio. Portiere in Eccellenza a Pomigliano d’Arco. Era intervenuto da paciere in una rissa, innescata dalla rabbia dell’omicida. Gli avevano pestato e sporcato una scarpa. Una Versace da 500 euro: “Mi avevano circondato e ho avuto paura”, si giustificherà nell’interrogatorio. 
  3. Tarda notte del 9 novembre. Alle cinque del mattino, nel cuore del centro antico, a vico Sedil Capuano, un solo colpo alla testa uccide Arcangelo Correra, 18enne incensurato. È uno dei cardini che unisce il decumano centrale (i Tribunali) e quello superiore (l’Anticaglia), alle spalle del Duomo. Si pensa a un’esecuzione camorristica ma in giornata si costituisce l’assassino. Renato Caiafa, 19 anni: un padre e un fratello morti ammazzati, il primo per una faida di camorra, il secondo ucciso da un poliziotto in borghese, anch’egli alle 5 di mattina, nel corso di una rapina tentata con un’arma di scena, dal lato opposto di via Duomo, ai confini col quartiere Mercato. Renato è affranto: Arcangelo era l’amico del cuore, si definivano “frate cugine” (figli di due fratelli) anche senza avere legami di sangue. Racconta al giudice che ha trovato la pistola per strada quella notte, non ne aveva mai visto una, il colpo è partito per sbaglio. Alcuni particolari non convincono gli investigatori ma non c’è dubbio che si è trattato di una disgrazia per imperizia.

Proprio dalla tragedia dei Tribunali si dipana un filo rosso che connette molte storie drammatiche della mala Napoli. Il fratello di Renato, Luigi, ha 17 anni quando tenta, nelle prime ore del 4 ottobre 2020, una rapina contro tre giovani in un’auto. Il poliziotto che arriva sul posto e lo ammazza si difende sostenendo che era armato e ha visto una fiammata uscire dalla sua pistola. Che era però una perfetta ma innocua imitazione. I giovani del quartiere, la compagneria si mobilitano invocando giustizia e verità. Il murale che lo ricorda viene cancellato: era abusivo.

Sulla legittima richiesta arriva, come pietra tombale, l’omicidio del padre, Ciro, 40 anni, esponente di una famiglia criminale importante dei Quartieri spagnoli che si è trasferito appunto nel centro antico perché insofferente al dominio del “triumvirato” che controlla la sua zona. Lo sorprendono la notte del 30 dicembre 2020, nel suo basso, mentre gli stanno disegnando un tatuaggio. 
Il complice di Luigi nella rapina, Ciro Di Tommaso, è il rampollo di un’altra famiglia “pesante”. Il padre, Genny ‘a carogna, è il capo ultrà dei Mastiff, che ha “gestito la crisi” dopo il ferimento a morte di Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia del 2013, da parte di un fascista ex leader della curva giallorossa. Genny rassicura i calciatori del Napoli e poi impone l’ordine in curva. Per ringraziarlo del buon lavoro, svolto in una situazione di estrema tensione, lo arrestarono. Quando torna in galera, per affari di famiglia (spaccio di stupefacenti) capisce la lezione e collabora.

Una storia infinita che potrebbe continuare ancora, slacciando altri fili della matassa. A partire, che so, dal fatto che a Napoli i ragazzi non muoiono solo per armi da fuochi ma anche per fuochi artificiali. È successo giusto lunedì 18 novembre, a Ercolano, in un laboratorio pirotecnico abusivo. 

L’esplosione uccide due gemelle di ventisei anni, occupate da qualche settimana al lavoro nero per 25 euro al giorno, e un diciottenne albanese, al primo giorno di lavoro ma già padre da cinque mesi.