Goliarda l’anarchica

Goliarda l’anarchica

Fondata sulla sovversione del genere, l’anarchia di Goliarda si esprime a partire dalla voce narrante fino alle voci “marginali” dell’Università di Rebibbia e delle Certezze del dubbio. Anarchia e sovversione del genere in una dimensione collettiva, comunitaria e pur sempre assolutamente individuale, a partire dalla presa d’atto del fallimento della Sinistra ripiegata nel suo conformismo.

di Stefania Mazzone

“A casa mia si diceva che il proprio paese si conosce conoscendo il carcere, l’ospedale e il manicomio […]. In casa mia erano anarchici”. L’anarchismo attraversa l’intera trama de L’Arte della gioia di Goliarda Sapienza: il capovolgimento della logica natura/cultura, la ribellione alla “Chiesa” positivistico-freudiana, si configura come fondamento del discorso libertario per il quale “vivere secondo natura” non può identificarsi con il potere che annulla la massima anarchica per la quale “ogni individuo ha diritto al suo segreto ed alla sua morte”. Lo stesso socialismo come una “costruzione ideologico-religiosa” viene abbandonato per “rifarsi una verginità” anarchica dopo il XX Congresso, perché “oltre i traumi infantili, il padre e la madre, c’è anche la storia”. L’attitudine dello zio Nunzio, rappresentazione dell’alfabetizzazione libertaria ricevuta in famiglia, si esprime nella ricerca dei fratelli, lettori di Bakunin e in Arminio, l’“artista”, colui che “poteva fare del bene, arricchire l’umanità”, ma anche “far cadere rivoluzioni” nel momento in cui le rivoluzioni uccidono gli artisti. L’artista, anarchico per definizione, accostato alla “causa della donna”, come pre-visione del nomadismo femminista che accomuna il destino di chi si sottrae al meccanismo della ri-produzione capitalistica, anche sovietica, come imparato da Angelica Balabanoff, sempre presente nelle opere di Goliarda.

L’anarchia appartiene a “quella razza svagata e dolce sempre, meno che per prendere la pistola e ammazzare ogni tanto qualche tiranno”, la stessa razza che popola un mondo dove “non esiste più la carta d’identità e dove la persona viene creduta sulla parola, un mondo senza prigioni e senza guerre”. Anarchia vuol dire riconoscere il valore della “bugia” artistica, a scapito dell’etica del lavoro, quella che merita valorizzazione senza sfruttamento in un contesto di “diritto alla gioia” che giustifica il sostegno sociale alla creatività. Si tratta del “miracolo dell’anarchia” dove si estrinseca la potenza naturale dell’essere artista, come dell’essere anarchico: “si nasce anarchici e non socialisti”, per un istinto naturale come mangiare, bere, respirare. Del resto, Goliarda dimostra come il socialismo manchi di quell’elemento caratteristico dell’anarchia e con questa risonante: l’ironia. Persino la lotta al fascismo era condotta, da Peppino Sapienza e Maria Giudice, “con la stessa ottusità e retorica del fascismo”, secondo quel vizio di combattere il nemico con le stesse sue armi, che rendeva “un po’ fascisti” gli stessi genitori. Fondata sulla sovversione del genere, l’anarchia di Goliarda si esprime a partire dalla voce narrante fino alle voci “marginali” dell’Università di Rebibbia e delle Certezze del dubbio. Anarchia e sovversione del genere in una dimensione collettiva, comunitaria e pur sempre assolutamente individuale, a partire dalla presa d’atto del fallimento della Sinistra ripiegata nel suo conformismo.

Questa la matrice anarchica e femminista dell’intersezionalità di Modesta: “attente, voi, privilegiate dalla cultura e dalla libertà, a non seguire l’esempio di queste negre perfettamente allineate. Al posto delle mani tagliuzzate dalla varechina, per voi si preparano anni di cupo esercizio mascolino nel legare alla catena di montaggio le più povere, e l’atroce notte insonne dell’efficienza a tutti i costi. E fra venti anni di questo esercizio vi troverete chiuse in gesti e pensieri distorti come questa larva che sorride per dovere d’ufficio – materializzazione né maschile né femminile –, inchiodare davanti al vuoto e al rimpianto della vostra identità perduta”. L’identità perduta è l’identità queer della famiglia del Carmelo e della Suavita, agita con la violenza della gioia costituente. L’anarchia dei corpi coatti, resistenti alla conformazione del potere, sempre desideranti, voci dell’etnografia di uno “sconosciutissimo pianeta”, dal meccanismo carcerario a quello delle istituzioni totali, infantilizzante e patriarcale in cui la voce che narra libera vissuti esodanti in una dinamica di rispecchiamento. Il limite estremo è l’effetto rivoluzionario di un linguaggio primo, emotivo e conflittuale che la separatezza converte in pratica politica: “Sono così da poco sfuggita dall’immensa colonia penale che vige fuori, ergastolo sociale distribuito nelle rigide sezioni delle professioni, del ceto, dell’età, che questo improvviso poter essere insieme – cittadine di tutti gli stati sociali, cultura, nazionalità – non può non apparirmi una libertà pazzesca, impensata”. Una definizione del crimine, in prospettiva di classe, quale forma di resistenza e sovversione dell’ordine sociale ingiusto, nella stessa definizione di sé quale “criminale per protesta civile”, ma, allo stesso tempo, consapevole dell’uso del sovversivo quale strumento di reiterazione del sistema: “non sono che degli ingenui romantici e appassionati, nuova sorta di Candide del Duemila. Nessuno di loro sa dove agisce la direzione vera di quella grande macchinazione. Ancora una volta questi giovani sono stati strumentalizzati dall’alto esattamente come molti di noi, della generazione resistenziale, illusi a combattere per un mondo migliore”.

Un urlo libertario contro la dinamica fascista del martirio costruito dal leninismo per il quale “nulla sono tremila, quattromila individui infetti” da sacrificare in carcere per centinaia di anni, di fronte alla “nobile utopia della pacificazione sociale”: per la rivoluzione, non ci si prepara con l’autocensura letteraria del leninista, ma “bevendo tanta e tanta fantasia”. Così, la lotta al potere in Modesta si esprime smarcandosi dalla logica binaria e oppositiva per inverarsi nella fluidità della molteplicità. In questo senso, la denuncia dei crimini del comunismo contro gli anarchici, in parallelo con la dimensione dell’oppressione conformista e patriarcale nei confronti delle donne fa dell’Arte della gioia, romanzo storico, opera lirica, pièce teatrale, performance.