di Chicco Galmozzi
Come cause dello scioglimento di Lotta Continua ne vengono generalmente indicate due, entrambe avvalorate dalle parole di alcuni protagonisti. La prima è la “rivolta” delle femministe. La critica delle donne di Lotta Continua si articola in due punti fondamentali. Il primo bersaglio va diritto al cuore e a un elemento fondante dell’organizzazione: la centralità operaia. Il nuovo soggetto operaio aveva sì colto e condiviso lo spirito antiautoritario sessantottino ma senza riuscire a fare della lotta al dispotismo di fabbrica la chiave per la critica/trasformazione della totalità delle relazioni sociali. Rivoluzionari in fabbrica e conservatori a casa – era già stato del resto l’ammonimento delle operaie della Magneti Marelli.
Il secondo punto riguardava la critica a un modello di organizzazione superato dai tempi e che tendeva ad emarginare le nuove soggettività, in primo luogo proprio il movimento di liberazione femminile.
Questi elementi critici mossi dalle femministe finiscono per attraversare l’intero corpo militante e possono essere riassunti dalla lettera che nell’aprile 1977 Daniel Cohn Bendit scrisse alla redazione di «Lotta Continua», una lettera destinata a rimanere famosa [la riporta Guido Viale in: Niente da dimenticare, Edizioni Interno4, 2022]. In questa lettera, intitolata Politica ed emozioni, l’esponente del Maggio francese scriveva: «Siamo figli di un movimento che esprimeva nel modo più chiaro una critica radicale della società capitalistica in generale e delle vecchie forme di organizzazione in particolare: malgrado questo però, non siamo mai riusciti a venir fuori dalla necessità di una organizzazione che inevitabilmente si trasformava in una cesta d’acqua “leninista” e proprio mentre questa cesta d’acqua si ingrandiva ci si allontanava dal movimento reale».
Certamente la rivolta femminista accelera la dissoluzione di Lotta Continua, tuttavia essa insiste su un corpo militante già travagliato da una profonda crisi politica tanto che può essere considerata un effetto piuttosto che una causa.
La seconda causa, l’urgenza di opporre un argine alla deriva lottarmatista, è, secondo me, totalmente priva di fondamento. Lotta Continua “aveva già dato”: chi era favorevole alla lotta armata era già uscito dall’organizzazione nel biennio 1974/1975 e dopo il convegno di Rimini del 1976 solo a Torino e in Val di Susa ci fu un significativo esodo verso Prima Linea.
Che il grosso del corpo militante fosse vaccinato nei confronti della tentazione armata lo dimostra il dibattito scaturito dalle “Lettere a Lotta Continua”, la rubrica appositamente creata dal quotidiano che per qualche anno sopravvisse all’organizzazione.
Allora a me sembra corretto considerare lo scioglimento di Lotta Continua come la conclusione, per certi versi anche drammatica, di un ciclo, il “‘68 lungo”, che per Guido Viale si snoda lungo quattordici anni, dal 1962 (rivolta di piazza Statuto) al 1976.
Nel corso di questo periodo Lotta Continua aveva dato voce a soggetti sociali privi ancora di rappresentanza: dall’operaio massa ai carcerati. Questo ciclo di lotte aveva avuto il suo culmine nel 1973 con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici conclusosi con l’occupazione della Fiat e che aveva visto l’allineamento nella lotta di importanti e vasti settori proletari dal nord al sud: tecnici, impiegati, ospedalieri, disoccupati, pescatori, pastori, carcerati. Ma da quel momento tutto inizia a mutare e la lotta operaia entra sulla difensiva a seguito dei grandi processi di ristrutturazione messi in campo proprio contro la conflittualità operaia.
L’attesa “spallata operaia” non ci sarà e nel quadro dirigente dell’organizzazione si farà strada l’idea, abbandonata ogni prospettiva insurrezionalista, di pensare che forti movimenti collettivi di lotta fossero capaci di investire le istituzioni adeguandole alle profonde trasformazioni in atto. Si trattava cioè di pensare a una mediazione politica capace di fare pesare sul piano politico generale i rapporti di forza che si erano realizzati nella fase di lotta precedente.
In sé non si trattava di una idea sbagliata ma vedremo che anche per questa ipotesi probabilmente era ormai tardi.
Inseguendo questa ipotesi nasce prima la parola d’ordine “il PCI al governo” e in seguito la pur travagliata partecipazione al cartello elettorale di Democrazia Proletaria. Le previsioni circa l’esito elettorale erano addirittura trionfalistiche: il 19 giugno Lotta Continua quotidiano titola: “È ora, potere a chi lavora; via la DC, governo di sinistra, potere popolare!” Il sogno era che PCI, PSI, e Democrazia Proletaria accedessero alla guida del paese con più del 51% dei voti. Un sogno, appunto, perché l’onda lunga dei movimenti, del ciclo iniziatosi all’inizio degli anni ’60, si stava ormai infrangendo. Un sogno cui seguì un drammatico risveglio.
Lotta Continua era stata tante cose ma soprattutto il “partito di Mirafiori”, il partito della centralità operaia e non poteva che finire con la fine della centralità operaia. Adriano Sofri ne era pienamente cosciente e al congresso della federazione torinese, sempre nel 1976, ebbe a dire: “A mio parere dentro il modo di ripetere liturgicamente la centralità operaia c’è il tentativo di aggrapparsi a un fondamento… ma questo è pericoloso compagni, tutti i tentativi di aggrapparsi a ciambelle di salvataggio quando la nave affonda sono pericolosi, perché magari sono bucate e vanno giù anche quelle, perché bisogna imparare a nuotare, perché la nave è affondata, qualcuno può aggrapparsi ancora a qualche spezzone ma tra poco c’è l’ultimo riflusso e si va tutti sotto”.
Sciogliere l’organizzazione fu una scelta giusta o sbagliata? Per alcuni fu un atto irresponsabile, per altri non c’era alternativa alla chiusura: Lotta Continua era nata come struttura di servizio nei confronti del conflitto ed era destinata a sparire con la fine del conflitto, con il tramonto della centralità operaia.
Per certi versi la sua parabola e la sua fine ricorda quella del Partito d’Azione. Con le dovute proporzioni possiamo dire che la loro fine non cancella il loro passato glorioso.
FOTO Albano Rossano Sanavio, Cigarettes

