di Ugo Maria Tassinari
Dove eravamo rimasti? Alla strage nella fabbrichetta illegale di fuochi d’artificio. Un corretto contrappeso alla narrazione tossica su Napoli trasformata in una favela per l’uccisione, in pochi giorni, di tre ragazzi per mano di altrettanti coetanei.
La strage sul lavoro a Ercolano ha attratto l’attenzione di uno dei più importanti quotidiani del mondo, che ha dedicato a Napoli l’apertura della principale edizione del 2 gennaio. Per contrastare la narrazione trionfalistica della grande meta del turismo popolare. Io l’ho scoperto grazie a un post su facebook di Eleonora De Majo, militante antagonista. Un intervento sicuramente qualificato perché è stata l’ultima assessora alla cultura e al turismo della seconda sindacatura di Luigi de Magistris. Dimissionaria poco prima che scorressero i titoli di coda: per le improvvide pressioni poliziesche per una sua scelta amministrativa (la nomina in una commissione di un capo ultrà indagato per gli scontri davanti la Regione a inizio Covid: inchiesta finita con il proscioglimento) ma anche in dissenso con la scelta di candidare a sindaco Alessandra Clemente, espressione dell’altra componente di peso dell’arcipelago demagistrisiano, i “cultori della legalità”.
Ecco il suo appello alla riflessione: «Il Ny Times racconta l’altra faccia della nostra città, quella che non si vede su Instagram e su Tik Tok. È un articolo che colpisce molto e che mi auguro che non venga gettato nella canea dei Napoli pro e Napoli contro. Colpisce perché per raccontare le contraddizioni della città sceglie due storie che invece a Napoli abbiamo volutamente obliato, nascosto, dimenticato. La prima, la morte di Francesco Pio Maione che prima di essere dichiarato vittima innocente dalla stampa e trattato come tale dalla politica ha dovuto aspettare che la sua vita e la sua famiglia fossero passate al setaccio, per il semplice fatto di essere nato in periferia e di essere un figlio della Napoli Minore. La seconda è una storia recente, così taciuta da far sembrare quasi che ci sia una ragione politico-economica dietro quel silenzio. Tre ragazzi giovanissimi, Samuel (18 anni) e le gemelle Aurora e Sara (26 anni) morti nell’esplosione di una fabbrica illegale di fuochi d’artificio. Diciamoci la verità: senza che la città battesse un colpo. Queste due storie sono inserite in un quadro tanto duro quanto veritiero di dati sulla disoccupazione giovanile, sul lavoro nero e sull’emigrazione. Il tema ricorrente è quello che non vogliamo sentirci dire ma che è terribilmente vero: Napoli è tanto affascinante per i turisti quanto spietata per i suoi giovani. Io non lo so… ma immersi come siete in questi fiumi di retorica sulla rinascita della città … forse se uno dei più importanti giornali del mondo si prende la briga di scrivere un articolo così, raccontando i nostri giovani ammazzati dalla violenza e dal lavoro nero con una precisione che noi non abbiamo voluto avere, raccontandoci cose delle loro vite che non abbiamo voluto scrivere, leggere e vedere… forse una riflessione andrebbe fatta…».
Accetto l’invito. Perché a sua volta la città affascinante per i turisti è proprio matrigna per uno spicchio ampio dei suoi giovani. La gentrificazione del centro storico, infatti, ha reso inaccostabili gli affitti per fuorisede e precari. C’è un aspetto paradossale e ironico della questione. Il boom turistico di Napoli è in gran parte merito del “sindaco zapatista”. Abilissimo a cogliere l’occasione. Tra il luglio 2014 e il marzo 2015 due grandi mete del turismo mediterraneo (Nizza e Tunisi) sono bersagli di gravi attentati islamisti con decine di morti. Si apre una finestra per rilanciare Napoli come meta delle crociere e il “sindaco con la bandana” è bravissimo. Scioglie lacci e lacciuoli e il resto lo fa la creatività popolare. Già nel 2019, l’anno di Matera capitale europea della cultura, Napoli è la seconda città d’Italia nella crescita dell’afflusso turistico.
Eleonora De Majo diventa assessora nel novembre 2019, quando il grosso del danno è ormai fatto. L’esplosione dei dehors a prezzi stracciati, la botta finale per il degrado urbano del centro storico, è una scelta nazionale per compensare i danni inferti ai pubblici esercizi dalle norme anti-Covid, non può neanche esserle attribuita.
Del resto, noi napoletani siamo fatti così. Dove vediamo, dove cechiamo. Il tema della salvaguardia del patrimonio immateriale del centro storico non scalda i cuori. In queste settimane, infatti, hanno avuto ampio risalto due altre questioni culturali: la fedeltà al canone eduardiano delle nuove messe in scena, la rivalità Kvara-Neres (difficile resistere per noi devoti del georgiano dopo la prodezza a Firenze del brasiliano).
E sì, perché anche le fortune calcistiche del Napoli hanno forte pertinenza con i successi commerciali della città: il murale Maradona, ai Quartieri spagnoli, è un forte attrattore turistico. La mancata festa scudetto (tutti gli operatori ringraziarono la Salernitana) portò in città 160mila turisti nel weekend, spennati per i prezzi dei b&b finanche quadruplicati.
Quanto a Eduardo, i devoti della tradizione (che nella mia bolla social prevalgono) non hanno altrettanta attenzione a un’altra emergenza identitaria come lo snaturamento della città antica. E sono persone decisamente tristi: perché si incazzano con Vincenzo Salemme che enfatizza i tratti comici di Natale in casa Cupiello (che nasce come farsa di avanspettacolo, un atto unico del 1931) e apprezzano Alessandro Gassmann che rimuove i forti elementi farseschi da Questi fantasmi.
Un andamento ondivago ha, del resto, segnato anche il dibattito pubblico sulle grandi installazioni, attrattori promossi a carissimo prezzo dal Comune. Totale indifferenza per le sorti del dropout finito in carcere per un intervento situazionista (l’incendio della Venere degli Stracci di Pistoletto), e grande e divertita partecipazione all’operazione calembour dei realizzatori che hanno trasformato il Pulcinella di Pesce (Gaetano) nel pesce di Pulcinella.
FOTO: Albano Rossano Sanavio, Cigarettes

