La notte artica

La notte artica

Proseguo il mio viaggio nell’unica strada che percorre da sud a nord l’intero arcipelago. Con me ci sono dei lavoratori di uno dei tanti cantieri aperti per fare continua manutenzione in queste terre estreme. L’autista mi vede un po’ agitato, sono in prima fila a scrutare la strada

DI Norman Polselli

Avete presente Skagsanden beach? No? Allora ve la descrivo io: è una remota spiaggia della costa Ovest delle Lofoten. Quella esposta al burrascoso Oceano Atlantico.

Le Lofoten, “le Hawaii artiche” come vengono ormai chiamate, un “avamposto davanti al nulla”. Sto citando il titolo di una rivista geografica degli anni ’80, che catturò la fantasia di un bambino. Ogni tanto mi concedo il privilegio di seguire i miei sogni adolescenziali. Ci sono stato già dieci anni fa, ma in estate. Non sembra nemmeno lo stesso luogo. Eraclito spiegato facile.

È mezzogiorno, ma non pensate alla nostra ora di pranzo. Qui il sole è sempre basso. Giganti di granito, imbiancati dalla neve circondano la spiaggia. Parliamo di Grande Nord, spazi infiniti. Il sole non riesce a sovrastare completamente queste montagne, immaginate una luce blu che abbraccia tutti, quell’aria sottile, fredda, che ti entra dentro i polmoni. In questo ambiente blu, ma tutto innevato, ci sono cinque ragazzi. Hanno parcheggiato il loro Volkswagen T3 verde sullo sterrato che lascia la strada. E con le tavole da surf in mano si avvicinano al mare.

Ho detto che questo è un mondo blu e bianco. È così, ma solo per una parte. Le cime delle montagne sono irradiate dal sole. Fumi di evaporazione vanno verso l’alto, lasciandosi dietro cime color oro, sopra quel mondo blu che dicevo.

Chi è cresciuto con Un mercoledì da Leoni non può non pensare a Matt, Jack e Leroy che vanno incontro al loro destino, durante la Grande Mareggiata del ’74. Metafora di un’altra ben più triste mareggiata, la guerra in Vietnam.

Questi ragazzi in muta invernale ridono tra loro. Non cercano di farsi coraggio, cercano solo complicità. Due vanno avanti, io mi metto dietro la ragazza e cerco di comporre la foto della vita. Lei, capelli al vento, colpita da minuscola neve ghiacciata, che guarda il mare. Metto a fuoco su chi è già in acqua, ma lascio intravedere lei di spalle, con la sua tavola. Il mare nero, come le ali di un corvo, folate di neve e ghiaccio tutt’uno con questa atmosfera blu che ci abbraccia. Riesco anche ad inquadrare una delle cime di fuoco delle montagne che circondano la sperduta baia.

Non sto fotografando loro, sto fotografando la libertà, una scala di valori, un amore corrisposto, l’idea che la vita non è solo bollette e traffico in tangenziale. Non c’è nessun traguardo da raggiungere, il premio è viverla.

Inquadro, compongo e scatto. Anzi no, non scatto. Mi godo quegli attimi. Quei pochi secondi, prima che il bus mi trasporti in un’altra remota baia. Con un’altra storia da raccontare.

Proseguo il mio viaggio nell’unica strada che percorre da sud a nord l’intero arcipelago. Con me ci sono dei lavoratori di uno dei tanti cantieri aperti per fare continua manutenzione in queste terre estreme. L’autista mi vede un po’ agitato, sono in prima fila a scrutare la strada. Do per scontato la loro abilità nel guidare questi bestioni sul ghiaccio, ma il burrone a picco sul fiordo, sotto la carreggiata, sembra chiamarmi. In queste occasioni la bellezza che mi circonda mi distrae e mi tranquillizza. Scendo ad una fermata dove il cartello è quasi sommerso dalla neve. Sono solo. Dovrebbe esserci un ostello proprio qui, ma un conto è vederlo su una mappa, dove arrivi quasi a pensare che sia un posto perfetto, a metà strada tra due lontani villaggi, per soggiornare due giorni a contatto con la natura. Un altro conto è arrivare e realizzare di essere ai confini del mondo. Dalla strada, come in un presepe, si vede l’ampia finestra della saletta comune. Una macchia oro nel blu più profondo. Più giù c’è il mare, ma non vedo strade o piste che arrivano a riva. Il bianco circonda tutto e tutti. E la neve continua a cadere. Con lo zaino già sporco di neve, mi decido ad entrare in questo micro mondo fatato.

Nella stanza, arredata da due divani, tante coperte, una poltrona e una stufa a legna, un pugno di persone venute dai 4 angoli del creato. Il chiacchierone austriaco, la romantica coppia portoghese, i freddolosi fratelli di Singapore, le dolci ragazze tedesche e l’introverso italiano che vi sta raccontando tutto questo.

Chi scrive, chi dipinge, chi condivide una birra, chi ricama, chi li osserva. Ho una tazza di tè in mano, mi piace immaginare cosa abbia portato ognuno di loro a condividere questo spazio e questo tempo, in mezzo al nulla, con un silenzioso e bianco universo che ci circonda. Bastava un bus sbagliato, un consiglio accettato, un giorno di ferie non dato e questa piccola umanità non si sarebbe creata. Se ne sarebbe creata un’altra? Forse, ma non questa.

Sono le 22:00, al ragazzo austriaco arriva una notifica sullo smartphone, c’è una debole aurora boreale nella nostra zona. Incredibilmente questa invadenza della tecnologia non scalfisce minimante la magia e l’entusiasmo del momento. Usciamo di corsa dall’ostello, vestiti in modo approssimativo, con le scarpe slacciate (in Scandinavia si sta scalzi in casa), di corsa nel bosco, al buio, verso il mare. Mi entra un po’ di neve nello scarpone, mi fermo a sistemarmi. Sono terre e situazioni che raramente perdonano leggerezze o disattenzioni. I miei nuovi compagni di viaggio mi superano, in questa gara dove tutti saranno vincitori. Si fermano improvvisamente a 30 metri da me. Li osservo come fantasmi in riva ad un mare nero come la pece. Nero evidenziato dal bianco delle montagne che lo circondano, che ci circondano. Hanno la testa rivolta verso ovest, verso l’uscita del fiordo, verso il mare aperto. Rimango colpito dalla sagoma buia di una di loro, con la coperta sopra la testa, penso ad una Madonna. Una Madonna artica.

Li raggiungo in pochi secondi, un fioco bagliore in fondo al fiordo toglie a tutti la parola. Estranei, uniti per sempre da un’emozione. Qualcuno prova a fotografare, ma l’attrezzatura fotografica a disposizione è di gran lunga meno indicata dei nostri occhi per trasportare quel vento stellare verde dal cielo verso il nostro cuore.

Non è stata la più potente aurora boreale vista nel mio piccolo viaggio in Lapponia. È stata la prima, la più bella.

La chiamano notte artica, invece è un mondo pieno di luce.

FOTO: Tiberio Sepe, Madri-figlie, 2019-2024