di Elisabetta Michielin
Noi siamo quella gente che per primi (e per ultimi?) si sono fatti una biblioteca casalinga che non hanno ereditato. Siamo quella gente che i nostri genitori non sapevano né leggere né scrivere e, se lo sapevano fare, andavano a leggere nelle case del popolo e prendevano a prestito.
Noi siamo quelli, che abborracciata o meno, disordinata e forse mai letta, ci siamo fatti la biblioteca, anzi una vasta biblioteca. Siamo quelli che una casa è vista con sospetto se non ha neanche un libro. E anche se ne ha pochi. Siamo quelli che tutti i romanzi russi, tutti i classici ma anche gli americani (non si può essere degnamente antimperialisti se non si conoscono a menadito tutti gli scrittori americani e non li si amano!), i francesi più inverecondi da De Sade alla meravigliosa Paulette del povero Wolinski – fatto fuori dieci anni fa da islamisti radicali! chi se lo aspettava – che se la giocava con Valentina. Tutta la storia alternativa, la microstoria, gli annali, i benandanti e tutte le compagnie di giro fossero streghe o stregoni. Pellerossa, poesia – ma solo Brecht e Majakovskij – antipsichiatria, donne e tutta la saggistica marxista, post marxista, marxismo critico, operaismo. Libretto rosso!
Siamo quelli che le opere complete di Marx ed Engels a rate con gli Editori Riuniti, quelle di Lenin anche, invece Gramsci con l’Einaudi.
L’Einaudi. Avevo un amico di dubbia provenienza, cose di provincia ma pur sempre un po’ malavitose, fra il prostituirsi e fare il pappa, il furto e forse la rapina. Insomma finito molto male e fatto morire giovane. Eppure quando si fa una casa la prima cosa che vuole è una biblioteca. Una bella biblioteca nel grande soggiorno. Per andare sul sicuro tutti libri Einaudi e qualche sparuto titolo di altre case editrici. Avrà scassinato una libreria in una delle sue scorribande? Chissà. Fatto sta che i compagni – crudeli – lo chiamavano l’uomo della biblioteca Einaudi.
Un fattarello che dice di una generazione, di quanto il sapere fosse importante e di quanto fosse una cosa alla portata di tutti. Perché insieme alle biblioteche raffazzonate o no che fossero, cadeva a picco l’autorevolezza dei deputati al sapere: i professori, la scuola di classe (è proprio il caso di dirlo), la laurea (ci sarebbe stata la rivoluzione e nessuno ne avrebbe più avuto bisogno!) Insomma siamo cresciuti come una banda di presuntuosi. Una cosa che per certi versi è bellissima! Quando mai i proletari…
Ma come si facevano, si costruivano si ingrandivano queste biblioteche? Sì, ovvio, i libri si compravano, specialmente se erano di case editrici minori e indipendenti da sostenere, ma anche si rubavano. Anche i più timidi lo facevano. E nelle librerie a nessuno veniva in mente di dirti: svuota la borsa o alza la maglietta. Il sapere era un diritto e darti del ladro per aver rubato un libro faceva sembrare il proprietario della libreria un povero coglione. Quindi, con ogni evidenza, i libri si prendevano e si portavano a casa e nessuno ti diceva niente. Si era anche diffusa la notizia (forse una leggenda?) che alla Feltrinelli, di Milano o di Roma, i libri fossero messi a disposizione di chi volesse prenderseli e portarli a casa. Il libraio locale abbozzava e stava zitto. Alla fine meglio regalarne uno e avere dei clienti devoti che fare lo stronzo. Se lo faceva Feltrinelli di regalare i libri, io chi sono per non fare uguale.
L’altro modo naturalmente era comprarli a rate. Le opere di Marx-Engels – Editori Riuniti – senza ombra di dubbio. Le si compravano sulla fiducia, avevi iniziato a prenderle che ancora stavano uscendo. Una grande impresa.
L’Einaudi vendeva porta a porta e ognuno di noi aveva sicuramente un amico che vendeva i libri Einaudi: lo faceva per integrare il salario (così si chiamava allora il reddito) o in attesa di trovare un posto di lavoro. E noi li si comprava perché si era sicuri che se compravi Einaudi compravi un sacco di libri fighi, li si comprava perché il tuo amico non potevi togliertelo dalle palle se non lo accontentavi, li si comprava perché si potevano fare le rate, piccolissime rate.
A proposito delle rate, un’amica pignola che ha controllato, mettendo a posto la propria libreria, sostiene che il costo dei libri confrontati con lo stipendio medio di allora – in controtendenza rispetto ad ogni discorso sulla caduta del reddito – o li compravi a rate o te li sognavi. Mentre oggi non è più così e qualsiasi libro lo puoi comprare tranquillamente.
Ma che fine faranno queste biblioteche diffuse nelle case di tutti, adesso che i loro proprietari uno alla volta se ne stanno andando?
I figli per lo più non le vogliono, tengono troppo spazio, sono un ricettacolo di polvere, tanti saggi sono quasi ridicoli o perlomeno avventati a leggerli ora. Altri libri sono troppo sottolineati e chiosati: si era feticisti ma anche si studiava. Inoltre con le versioni ebook puoi stipare tutte le biblioteche che vuoi in un palmare. Anche le biblioteche locali declinano cortesemente.
Così i libri finiscono nelle bancarelle degli usati o venduti nei mercatini dei gruppi facebook a colpi di dieci, venti annunci al giorno. I libri cambiano destinazione d’uso e se vengono ricomprati è solo per il loro valore antiquario. Prime edizioni rare, libri mai più editi, curiosi. O vengono comprati da collezionisti impenitenti, e sì, certo, non voglio dire che non ci siano più intellettuali o lettori. Ma quel fenomeno massiccio di genti piene di entusiasmo che accedevano alla cultura del libro, che lo brandivano come un’arma, che tutti d’accordo con i versi di Brecht ‘Devi sapere tutto! / Tocca a te assumere il comando.’ non c’è più.
Se il Novecento e tutte le sue rivoluzioni se ne sono andate anche le biblioteche di chi voleva fare o partecipare di queste rivoluzioni non hanno più ragione di essere. Al massimo potrebbero essere oggetto degli studi di un antropologo sulle forme di vita del secondo Novecento.
A suggello in questi giorni Einaudi ha chiuso il servizio porta a porta della vendita rateale dei libri.
FOTO: Albano Rossano Sanavio, lago Atitlán, Guatemala, 1991

