di João Souza – Brasília (DF)
Durante le elezioni americane, molti settori della sinistra latino-americana e della sinistra radicale in Europa han manifestato la loro indifferenza: “Kamala o Trump, non cambia niente”. Per loro, è solo imperialismo e, salvo a mettere il bemolle sull’imperialismo russo, gli imperialisti sono tutti uguali. L’escatologia della fine del mondo non ha tempo per queste sottigliezze, anche se molti di questi Nostradamus, oltre che in nome dell’universo (pardon, bisogna dire “multiverso”), pretendono di parlare in nome dei migranti.
Da quando l’amministrazione Trump ha deciso di sospendere i finanziamenti alle organizzazioni che guidano e svolgono attività umanitaria, comprese le agenzie delle Nazioni Unite, il sistema umanitario mondiale è crollato in pochi giorni. Si prevede che nelle prossime settimane o mesi parte delle risorse verranno sbloccate, almeno per alcune azioni più urgenti o più in linea con i piani dell’attuale presidente nordamericano. Ma siamo in un territorio imprevedibile. La sospensione dei finanziamenti significa, ad esempio, che i rifugiati e i richiedenti asilo rimarranno senza assistenza o subiranno restrizioni, il che si riflette, nella pratica, nelle condizioni della loro sopravvivenza. Ci sono centinaia di migliaia di persone che dipendono da questa assistenza per mangiare, avere acqua, lavarsi o anche per l’assistenza legale per ottenere i documenti in un paese di asilo.
Come durante il primo mandato di Trump, molte organizzazioni umanitarie, comprese quelle internazionali e locali, che dipendono interamente o parzialmente dai finanziamenti degli Stati Uniti, probabilmente chiuderanno, limiteranno le loro attività o adatteranno i loro progetti. È interessante e allo stesso tempo sconsolante notare che la maggioranza assoluta dei fondi destinati alle organizzazioni umanitarie nel mondo provengono da un unico Paese: cioè dagli Stati Uniti. Tutto il lavoro di intervento umanitario (svolto da agenzie del sistema delle Nazioni Unite o agenzie collegate, come l’UNHCR e l’OIM, e anche da organizzazioni internazionali e locali) dipende quasi esclusivamente dai finanziamenti nordamericani.
Questo ci fa pensare, in primo luogo, che, a differenza della critica generalizzata che di solito viene fatta, anche in ambienti universitari e progressisti, Trump e Biden (Kamala) non sono la stessa cosa. Fa una differenza enorme che il presidente degli Stati Uniti sia Trump o Biden (o Kamala Harris). Non c’è dubbio che l’ex presidente (e tutti quelli prima di lui) meritino critiche. Tuttavia, con Trump assistiamo ad altri tempi, molto più bui.
Prima di accusare gli Stati Uniti di avere i loro interessi particolari a rimanere gli unici finanziatori delle organizzazioni umanitarie e prima di moltiplicare le critiche ingenue all’umanitarismo come “l’altra faccia dell’imperialismo”, sarebbe importante chiedersi perché altri paesi non hanno preso il sopravvento e non hanno assunto questo impegno nell’agenda umanitaria e dei diritti umani con più vigore?
La mancanza di impegno da parte dei paesi economicamente ricchi nei confronti dell’agenda umanitaria, compresi quelli governati da leader che si presentano come progressisti, dovrebbe essere vista come un problema importante, tanto quanto la vittoria di Trump. Di conseguenza, accusare gli Stati Uniti a causa della loro politica imperialista, che usa l’umanitarismo come modalità di intervento, è semplicista e molte volte cinico. Si ignora completamente la realtà, chiudendo gli occhi sul fatto che i finanziamenti statunitensi hanno avuto un impatto positivo sulla vita delle persone che hanno bisogno di aiuto. Non è necessario andare in un campo profughi, informarsi sull’Operação Acolhida in Roraima (al confine brasiliano col Venezuela) o visitare un centro di accoglienza per rifugiati a Panama per saperlo.
Trump vuol fare la pace con la Russia, a spese dell’Ucraina, ma vuole fare la guerra ai migranti, a spese di tutti i paesi latino-americani. Questa politica avrà risultati imprevisti, ma sicuramente pessimi. Non solo per l’effetto diretto che implica il drenaggio dei fondi (si pensi a nicaraguensi, venezuelani, cubani e haitiani che cercano rifugio nei paesi della regione), ma perché i governi della regione dovranno riposizionarsi di fronte a un simile cambiamento e tutto indica che non seguiranno la miglior strada in termini di diritti umani.
Vale la pena notare l’ambivalenza della negligenza dei governi nei confronti delle persone che hanno attraversato l’America centrale e meridionale negli ultimi anni (passando per la selva pericolosissima di Darien) verso il confine tra Messico e Stati Uniti. Da un lato, quando Trump taglia i fondi, appare chiaramente che i grandi governi dell’America Latina non fanno niente per i loro “emigranti”. Dall’altro, questa indifferenza permetteva, nonostante tutto, ai migranti di attraversare questo mare di terra che è l’America centrale. Nonostante tutto, i migranti attraversavano. Quel che l’offensiva americana annuncia è una guerra: i migranti sono deportati in aerei militari, il campo di prigionia di Guantanamo sarà una delle loro destinazioni, le tariffe doganali puniranno il Messico. I paesi della regione dovranno uscire dall’indifferenza e dall’abbandono, ma non sarà per proteggerne i diritti: al contrario, già appaiono all’orizzonte dispositivi di sorveglianza, repressione e ancora deportazione. La violazione dei diritti umani dei migranti diventerà la regola: negli Stati Uniti già si moltiplicano le retate, anche e soprattutto nelle scuole per catturare i figli degli illegali e obbligarli a rinunciare “volontariamente” proprio ad una delle principali dimensioni dei diritti umani e della cittadinanza (la scolarizzazione di tutti, indipendentemente dallo statuto); nei paesi dell’America centrale vigerà il ricatto nord-americano di applicare loro stessi queste misure infami o una ricomposizione che le simpatie per Putin e compagnia non annunciano.
FOTO: Albano Rossano Sanavi, Alexanderplatz, Berlino, Marzo 2021

