di Adriana Branchini
Le isole di Haida Gwaii da noi sono comprensibilmente poco conosciute, si tratta infatti di un arcipelago remoto anche per gli standard canadesi, nell’Oceano Pacifico a sette ore di traghetto da Prince Rupert, che già non è proprio il centro del mondo, a nord dell’isola di Vancouver, con vista sul Golfo dell’Alaska. Fino al 2009 si chiamavano Isole della Regina Carlotta, e ancora qualche mese fa qualcuno mi diceva “non capisco perché abbiano cambiato il nome”.
È che queste 150 isole sono territorio ancestrale degli Haida, la popolazione indigena che lì ha vissuto per circa 7000 anni, secondo alcuni anche di più, con la propria lingua – nella quale Haida significa People, il Popolo – una lingua isolata, che non sembra avere relazioni con alcuna altra lingua, come il Basco per esempio, con una cultura solo orale, tramandata dagli Anziani e intagliata nel legno, un’organizzazione sociale con due gruppi separati, i Corvi e le Aquile, ciascuno con un capo che era un primus inter pares, i potlach come occasioni per incontrarsi, fare leggi, dirimere dispute, celebrare matrimoni e funerali, organizzarsi, e grande abilità nella pesca e negli scambi, non sempre amichevoli, con le isole vicine, finché, alla fine del 1700, arrivarono prima gli spagnoli e poi gli inglesi – le visitò anche il Capitano Cook – e George Dixon nel 1787 le reclamò per la Corona Inglese. La scoperta delle isole da parte degli europei non ebbe solo conseguenze amministrative: a causa di malattie sconosciute agli indigeni la popolazione crollò da circa 7000 all’inizio del 1800 a 588 nel 1915. Oggi sulle isole ci sono circa 5000 persone, di cui la metà Haida, che vivono prevalentemente nei villaggi di Old Masset e Skidegate, su Graham Island, l’isola principale dell’arcipelago, dove arriva il ferry.
È stato solo nell’aprile del 2024 che le isole sono state formalmente restituite dal governo centrale e locale agli Haida con l’Atto “Rising Tide”, il primo di questo genere, seguito giorni fa da un ulteriore atto “Big Tide (Low Water)” che sanciscono il titolo degli Haida sulle isole e il loro diritto di beneficiare economicamente del territorio e di gestirlo. Dopo anni di sfruttamento delle risorse senza vantaggi per la popolazione locale, e dopo anni di assimilazione culturale forzata, coi bambini indigeni (non solo Haida ma di tutte le popolazioni native) mandati senza ritorno nelle cosiddette scuole residenziali, lontano dalle famiglie, strappati alla loro lingua e alle loro abitudini, è ora in corso un lungo e non facile processo di riconciliazione, riconoscimento e valorizzazione delle diverse identità, rivitalizzazione della lingua e per quanto possibile di risarcimento. Il 30 settembre è diventato il giorno della Verità e della Riconciliazione, festa nazionale canadese dal 2021, e uno dei modi per dare un senso a questa giornata è condividere quello che abbiamo imparato, ed è quello che sto cercando di fare con queste note.
Fino al 1993 le isole sono state sfruttate intensivamente, soprattutto per il legname e le miniere di oro e argento, finché è stata creata la Gwaii Haanas National Park Reserve che dal 2010 comprende anche il mare ed è un gigantesco parco naturale di circa 1500 Km2 dove tutto, dalle cime delle montagne alle profondità degli abissi, è protetto e conservato.
Io ci sono stata ed è un posto meraviglioso, circondato dall’oceano che detta le regole, dove la natura è esuberante, con foreste pluviali secolari di conifere e pecci giganteschi, coperti di muschio rigoglioso e circondati da felci lussureggianti, e aquile e orsi neri e balene e foche e molte sotto-specie di animali che si trovano solo lì e hanno valso alle isole il soprannome di “Galapagos del Canada”.
Dicono che non si può parlare di Haida Gwaii senza lacrime agli occhi e confermo che è così, c’è qualcosa di magico, di ancestrale, di originario in queste isole, e anche di irriducibilmente diverso da ciò cui siamo abituati. È un posto di silenzi, interrotti dagli sbuffi delle balene, dalle onde sulle rive sassose e dai motori degli zodiac che insieme ai kayak sono l’unico modo per esplorare le isole del Parco che è anche il luogo in cui avvicinarsi alla cultura Haida nel villaggio Ninstints, patrimonio Unesco su SGang Gwaay (Anthony Island), e sulle altre isole dove si è accolti dai Watchmen, persone Haida che custodiscono e condividono la conoscenza del territorio e le storie del passato; con loro siamo andati a vedere ciò che resta dei totem pole un tempo finemente intagliati con storie della tradizione e della mitologia, con le figure principali dell’Orca, l’Orso, la Rana e il Corvo, con scopi artistici ma anche educativi, come libri. Oggi molti totem sono tornati a far parte della foresta, e quindi del ciclo della natura secondo l’idea dell’impermanenza a noi così lontana, noi occidentali abbiamo sempre costruito per le generazioni future, gli Haida invece affidavano al legno le loro storie, consapevoli che sarebbero state presto ricoperte dal muschio e reclamate dalla foresta che a volte inaspettatamente, per esempio nel 2018 dopo un tremendo uragano, restituisce artefatti ricchi di informazioni non solo sulla popolazione Haida ma anche su come la vita e il clima sono cambiati sulle isole.
Nel nostro gruppetto c’erano due sorelle Haida sulle tracce dei propri antenati e quando una delle due ha intonato un canto tradizionale è stato davvero emozionante.
Ai visitatori si chiede di lasciare solo impronte e portare via solo ricordi, di essere responsabili e di avere cura di Aria, Oceano, Terra e Gente e di impegnarsi al rispetto delle isole e dei modi di vivere Haida perché ovunque si cammina tra gli spiriti della Gente.
Oggi Haida Gwaii è un posto per studiosi, di oceani, ambiente, animali selvatici, archeologia, etnografia, per chi è interessato alla salute e conservazione degli habitat, per gli appassionati di attività legate al mare, per chi è affascinato dai posti remoti e dal senso di comunità che vi si respira e per incorreggibili romantici come me.
FOTO: Cesare Rizzetto, Asilo Nido, Porcia, 1989

